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Editoriali

 

Per anni si è discusso della necessità di riformare le legge 91 del 1992 sulla cittadinanza italiana.

Una legge che, privilegiando il "diritto di sangue" rispetto allo ius soli e legando l'acquisto della cittadinanza, sia per nascita che per naturalizzazione, a rigidi e formali requisiti residenziali,  era del tutto orientata al passato. Una legge che mancava, nella sua ispirazione, della capacità che dovrebbe essere propria del legislatore di interpretare i cambiamenti sociali, peraltro già in atto all’epoca della sua approvazione.

Per anni si è animato un vivace dibattito sullo ius soli e sui criteri di “temperamento” da introdurre, su quale dovesse essere la sufficiente misura di integrazione per gli aventi diritto,  e, ancora più a monte quale il “modello teorico di integrazione” da adottare in Italia.

Nel corso del tempo si sono prodotti e moltiplicati appelli,  propostee mobilitazioni della società civile, come diverse sono state le iniziative legislative intraprese, destinate a schiantarsi contro l’incapacità della politica di costruire convergenze su grandi temi come questo.

Nel frattempo, secondo le stime Istat, a gennaio 2015 i minori stranieri presenti in Italia hanno sfiorato la quota di un milione. Molti di loro vi sono nati, molti altri vi stanno crescendo e frequentano le scuole italiane. Alla maggior parte di essi, così come ai giovani maggiorenni di seconda generazione, i rigidi criteri della legge 91/92 precludono l’accesso alla cittadinanza italiana.

In questo quadro, quindi, l’approvazione alla Camera della proposta di legge di riforma sulla cittadinanza rappresenta certamente un passo avanti. Tuttavia il testo, nella versione appena approvata, presenta dei nodi critici importanti.

In generale, va anzitutto evidenziata la scelta di fondo di limitare l’intervento al tema dell’accesso dei minori alla cittadinanza e di non occuparsi del percorso di naturalizzazione degli adulti. Letteralmente un percorso ad ostacoli, in cui al requisito della residenza decennale, uno dei più rigidi in Europa, si aggiungono le enormi difficoltà e lungaggini burocratiche che contrassegnano i procedimenti di concessione della cittadinanza per residenza. 

Nel merito, la proposta prevede, nelle parti più significative, anzitutto l’introduzione di due nuove fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana.

Una prima, per nascita sul territorio nazionale subordinata al possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo da parte di almeno uno dei genitori (cd. ius soli temperato). Una seconda per il minore nato in Italia o entrato entro i dodici anni, a condizione che abbia completato un percorso scolastico almeno quinquennale o  corsi percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale; qualora si tratti di un corso di istruzione primaria è inoltre richiesto che venga concluso positivamente (c.d. iusculturae).

Si introduce, inoltre, una nuova ipotesi di naturalizzazione, ossia di concessione della cittadinanza, che riguarda chi durante la minore età ha fatto ingresso in Italia, vi ha risieduto legalmente per almeno sei anni ed ha concluso positivamente un ciclo scolastico oppure un percorso di istruzione e formazione professionale.

E’ stata, poi,  inserita in corsa una disposizione transitoria che consente l’accesso alla cittadinanza a chi al momento dell’entrata in vigore della legge già possiede i nuovi requisiti ed ha già compiuto vent’anni (limite di età entro cui è possibili fare la dichiarazione di acquisto della cittadinanza).

Le perplessità e preoccupazioni più forti riguardano anzitutto la prima ipotesi: subordinare l’acquisto della cittadinanza per il minore nato in Italia al possesso della cosiddetta “carta di soggiorno” di uno dei genitori equivale ad inserire un requisito legato al reddito. Significa introdurre un principio distorto e discriminatorio. In secondo luogo, a sua volta, il conseguimento del permesso di soggiorno per lungosoggiornanti è soggetto ad un iter discrezionale ed è tutt’altro che automatico.

Una scelta, pertanto, che introduce paletti economici ed amministrativipiuttosto che facilitare il percorso di acquisto della cittadinanza.
Rispetto al cosiddetto iusculturae, invece, occorrerebbe porsi il problema dell’effettività dell’accesso al sistema di istruzione, che per molti minori stranieri è tutt’altro che scontato e garantito.

Sullo sfondo, infine, resta la condizione di quei minori stranieri che nascono e crescono in Italia e frequentano le scuole italiane malgrado la situazione di irregolarità dei genitori. Di tale questione, pure più volte sollevata negli anni dalle organizzazioni della società civile, non vi è traccia nel dibattito parlamentare né è stata contemplata  tra le proposte all’esame della Camera.

Nel complesso e considerate le condizioni di partenza, l’approvazione della proposta di legge da parte della Camera dei Deputati è una buona notizia, e ci auguriamo che le stime sui quasi ottocentomila beneficiari del provvedimento, una volta adottato definitivamente, trovino riscontro.

L’auspicio, nel frattempo, è che durante l’iter parlamentare di approvazione della riforma vi siano ancora i più ampi margini di miglioramento.

Laura Liberto

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