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Editoriali

In attesa del passaggio in Senato, che ci auguriamo si compia rapidamente e senza intoppi, l’approvazione alla Camera dei Deputati della proposta di legge Siani in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, rappresenta un primo risultato concreto ed importantissimo.

Un risultato che ripaga l’impegno profuso da Cittadinanzattiva negli ultimi anni e che risponde a molte delle nostre istanze rivolte a superare, in maniera definitiva, il problema della detenzione dei bambini nelle carceri.

La presenza di bambini, costretti a trascorrere i primi anni di vita negli istituti penitenziari assieme alle madri detenute, è un paradosso gravissimo del nostro sistema; un paradosso finora irrisolto ed incredibilmente trascurato, sul quale negli ultimi anni ci siamo impegnati, in sinergia con altre organizzazioni, per richiamare l’attenzione pubblica e delle istituzioni e per formulare e sollecitare l’adozione di soluzioni di sistema idonee a risolverlo definitamente. Ciò nella convinzione che la tutela della salute psicofisica dei bambini debba prevalere su ogni altra ragione o interesse pubblico e debba costituire il principale, se non l’unico, criterio guida per la costruzione di misure dedicate. E’ oramai dimostrato che i piccoli che crescono in carcere ricevano danni profondi sul piano dello sviluppo psicofisico, dai problemi nella deambulazione (visto che sono abituati a muoversi dentro spazi ristretti), a ritardi nella articolazione della parola, ad una serie di difficoltà nello sviluppo delle relazioni con gli altri, nella socializzazione, fino all’attaccamento morboso alla madre per poi subire il trauma ulteriore e profondissimo del distacco improvviso da essa, quando raggiungono i limiti di età previsti dalla legge.

Se è vero, dunque, che quando si parla di bambini in carcere parliamo sempre di piccoli numeri che, seppure variano nel tempo, restano comunque riferiti a poche decine di presenze, è innegabile che le ridotte dimensioni del fenomeno non possono ridimensionare la gravità del problema dell’incarcerazione dell’infanzia. E anzi, le dimensioni contenute del problema rendono ancor più contraddittorio e sorprendente il fatto che ne tempo non si siano approntate soluzioni decisive per azzerarlo.

D’altra parte, sono trascorsi ben 12 anni dall’ultimo intervento legislativo in materia, la novella del 21 aprile 2011 n. 62, che nell’ottica della salvaguardia del rapporto tra detenute madri e figli minori, ha configurato un circuito penitenziario cd a “custodia attenuata”, dedicato alle madri con figli al seguito – e in via residuale anche ai padri- con l’istituzione degli Icam e, al contempo, ha istituito le case famiglia protette quali luoghi idealmente alternativi al carcere, di esternalizzazione della detenzione dei genitori che devono accudire i figli.

Nonostante le buone intenzioni del legislatore del 2011, vista la permanenza di una serie di ostacoli di natura giuridica e, soprattutto di natura economica, il problema dei bambini reclusi non è stato assolutamente risolto e superato e la parte migliore e più innovativa di quella riforma, ossia quella legata alla promozione delle case famiglia è rimasta sulla carta.

Infatti, una delle contraddizioni più macroscopiche di quella legge riguarda il vincolo economico relativo alle case famiglia protette, da realizzarsi senza oneri a carico dello Stato. Ciò ne ha evidentemente impedito l’implementazione, tant’è vero che nell’arco di un decennio si sono sviluppate soltanto due esperienze su tutto il territorio nazionale: una casa famiglia Roma ed una a Milano.

A fronte di questa occasione finora mancata, la soluzione prevalente è rimasta quella della carcerazione di madri e bambini, all’interno degli istituti penitenziari oppure negli Icam, che restano pur sempre istituti di detenzione; di fatto, pertanto, le esigenze cautelari o la pretesa punitiva nei confronti degli adulti sono rimasti finora prevalenti rispetto alla tutela del benessere psicofisico dei bambini, nonostante le molteplici indicazioni e gli obblighi sanciti sia a livello internazionale che costituzionale sulla preminenza da riconoscere al superiore interesse del fanciullo rispetto ad altre ragioni di natura pubblica.

Su queste contraddizioni finora irrisolte ci siamo impegnati nella formulazione e richiesta di soluzioni concrete e di sistema, attraverso la campagna L’infanzia non si incarcera!, ed in una proficua ed intensa collaborazione con Paolo Siani e gli altri Deputati che hanno lavorato alla proposta di legge appena approvata dalla Camera. La proposta di Legge Siani, infatti, recepisce e riflette le posizioni e soluzioni sollecitate da Cittadinanzattiva per rimuovere quegli ostacoli e quei limiti, di natura giuridica ed economica, tuttora presenti nel sistema che continuano a produrre nuovi ingressi di bambini in carcere al seguito delle madri.

Una iniziativa legislativa che, sin da quando è stata depositata alla Camera dei Deputati- oramai quasi tre anni fa- abbiamo sostenuto con convinzione, anzitutto perché in maniera netta riconosce centralità alla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori e si pone nella prospettiva indicata a più riprese dalla Corte Costituzionale e dalle convenzioni internazionali: la protezione del superiore interesse del fanciullo, della salute psico-fisica dei minori, di cui la tutela del legame genitoriale è parte integrante e fondamentale in particolare nei primi anni di vita.

In quest’ottica, le soluzioni normative proposte disegnano un sistema articolato sulle case famiglia protette come soluzione principale sia in fase cautelare che di esecuzione della pena, lasciando in piedi il ricorso alla custodia o detenzione in istituto soltanto in via residuale, per i casi più gravi.

E, per percorrere questa direzione, si compiono finalmente scelte decise sia in sede di applicazione delle misure cautelari sia in sede di esecuzione della pena. La proposta, infatti, introduce il divieto di custodia cautelare in carcere per le madri (o per i padri in via residuale) di bambini fino a 6 anni di età ed il contestuale ricorso alla custodia in ICAM come soluzione del tutto residuale, cioè da applicarsi soltanto in presenza di esigenze cautelari eccezionali. Ne discende il disegno di un sistema di gradazione delle misure cautelari in cui la “custodia” in casa famiglia protetta si configura come una delle opzioni principali. Analogamente, in sede di esecuzione, si scongiura l’ingresso in carcere di mamme e bambini elevando i limiti di età previsti per il differimento obbligatorio e facoltativo della pena e, nei casi di prognosi di pericolosità, si ricorre alla detenzione in casa famiglia come ipotesi principale ed alla detenzione in Icam come ipotesi residuale, coerentemente con il sistema delineato per le misure cautelari.

Rispondendo ad una delle nostre principali sollecitazioni, la proposta di legge compie, quindi, una scelta decisa: la promozione delle case famiglia come modello alternativo alle soluzioni detentive, comprese quelle della cd custodia attenuata in Icam. Una opzione chiara, quindi, per la decarcerazione di mamme e bambini, per soluzioni che, già nel nome –nella stessa definizione “casa e famiglia”- rimandano a luoghi che devono essere costruiti sulla centralità della salute dei minori e del rapporto genitoriale.

A questo scopo, il provvedimento impegna il Ministero della Giustizia a stipulare convenzioni con gli enti locali per individuare le strutture idonee ad ospitare le case famiglia protette ed interviene a rimuovere uno dei principali ostacoli di natura economica che finora hanno impedito lo sviluppo del sistema delle case famiglia. La legge n. 62 del 2011, che ha istituito le case famiglia protette, infatti, ne prevedeva la realizzazione “senza oneri per lo Stato”.

Come da tempo denunciamo, questa limitazione ha costituito il principale ostacolo ad uno sviluppo omogeneo sul territorio nazionale del sistema dell’accoglienza in case famiglia protette ed adeguato al fabbisogno ed è all’origine del paradosso per cui, per carenza di risorse e mancanza di adeguate politiche di investimento, i bambini sono costretti o a subire il distacco dalla madre oppure a condividere con lei il carcere soltanto perché non è disponibile un luogo idoneo all’esecuzione extramuraria della pena detentiva.

E, correttamente, raccogliendo una delle principali istanze sostenute anche da Cittadinanzattiva, con la proposta di legge in esame si intende superare anche questo ostacolo, eliminando appunto quel vincolo.

Su questo terreno, grazie ad una iniziativa promossa e fortemente caldeggiata dalla nostra Organizzazione, si è già conseguito un importante risultato. Con l’approvazione della legge di bilancio per il 2021, infatti, abbiamo ottenuto l’istituzione di un fondo triennale dedicato al finanziamento dell’accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case famiglia, con una dotazione pari a 4,5 milioni di euro.

Ora, le misure contenute nella proposta di legge Siani si collocano esattamente nella stessa direzione, recependo le nostre sollecitazioni perché si costruiscano le condizioni concrete per la realizzazione del sistema delle case famiglia come luoghi destinati all’accoglienza delle mamme detenute con i loro bambini.

Siamo, a questo punto, fiduciosi che l’iter parlamentare si completi con il passaggio al Senato entro la fine della legislatura e che la legge venga definitivamente approvata, per non vanificare questi tre anni di impegno ininterrotto affinché nessun bambino varchi più le soglie di un carcere.

Laura Liberto

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