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Editoriali

La Camera dei Deputati ha appena approvato in via definitiva il disegno di legge sulla corruzione, ribattezzato “spazza-corrotti” dai suoi promotori, ma al di là della roboante definizione, una delle misure più significative introdotte riguarda tutt’alta materia, ossia l’istituto della prescrizione dei reati.

Si tratta dell’ennesimo pericoloso provvedimento bandiera, esibito dal Ministro Bonafede come una soluzioneche renderebbe finalmente giustizia alle vittime dei reati, ma che in realtà non tutela proprio nessuno, risolvendosi in una gratuita diminuzione delle garanzie dell’imputato e rischiandoparadossalmente di allungare in misura ulteriore  i tempi dei processi penali.

Secondo le nuove disposizioni, che entreranno in vigore nel 2020 simultaneamente all’approvazione di una annunciata riforma del processo penale ancora tutta da costruire, i termini di prescrizione del reato restano sospesi dopo la sentenza di primo grado, anche in caso di assoluzione. Il dannoè duplice: si destinano indagati ed imputati a rimanere per anni sotto la spada di Damocle di un processo penale dalla durata indefinita, si elimina un fondamentale incentivo per i magistrati alla definizione dei processi in tempi certi.

La prescrizione è un istituto garantista, che risponde al diritto dei cittadini di vedersi giudicati in un tempo ragionevole ed alle funzioni costituzionali della pena, che evidentemente vengono meno quando una condanna interviene a distanza di anni dalla commissione del reato. Secondo principi di civiltà giuridica elementari e consolidati, la prescrizione nasce per impedire che il singolo cittadino possa rimanere ostaggio della pretesa punitiva dello Stato per un tempo indefinito. Una pretesa punitiva che inevitabilmente cessa e perde di senso col passare del tempo, una volta esaurito ogni allarme sociale legato al reato, e con essa ogni funzione preventiva e rieducativa della pena.

Ora, quale emergenza effettiva di denegata giustizia si fronteggerebbe allungando sine die i tempi della prescrizione?

I dati disponibili, compresi quelli del Ministero della Giustizia, parlano di un tendenziale calo nel corso degli anni dei reati prescritti e mostrano come nella maggior parte dei casi- circa il 60%-la prescrizionematuri nel corso delle indagini preliminari, quindi in una fase assolutamente precedente a quella interessata dalla riforma.

Ciononostante, negli scorsi mesi la misura è stata presentata come risposta all’urgenza di giustizia delle vittime dei reati, peraltro richiamandotra gli argomenti a sostegno, con una speculazione francamente odiosa, vicende giudiziarie del tutto estranee all’ambito di applicazione delle nuove norme, come quella relativa alla strage di Viareggio ed alla prescrizione intervenuta per buona parte dei reati lì contestati edove i familiari delle vittime e le loro associazioni sono rimasti inascoltati per anni ed abbandonati nell’oblio istituzionale.

In realtà, la prescrizione dei reati non è il problema in sé, ma è sintomatica di un problema: quello della lunghezza eccessiva dei processi, basta pensare che sono quasi 350.000 i processi penali che superano i limiti di ragionevole durata(3 anni per il primo grado di giudizio, due anni per il grado di appello, un anno per la Cassazione).

Ed è su questo terreno, quello della effettività del diritto dei cittadini, sia imputati che vittime di reati, alla ragionevole durata del processo, che occorrerebbe concentrare sforzi ed interventi, rivolgendoli a riformare ed efficientare la macchina della giustizia e ad avviare una seria opera di depenalizzazione della miriade di reati che intasano le aule di giustizia.

Ancora prima occorrerebbe, però, abbandonare le tentazioni giustizialiste e la china demagogica che ha contrassegnato i provvedimenti appena approvati e, possibilmente, raccogliere nei futuri percorsi di riforma il contributo di tutti gli attori del sistema giustizia, compreso quello delle organizzazioni dei cittadini.

Laura Liberto

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