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La medicina territoriale e di famiglia messa a dura prova dai mancati investimenti, dalla emergenza pandemica e dalla mancanza di coordinamento delle azioni. SCARICA IL REPORT

Un rapporto in crisi. È questo quello che sembra emergere dall’analisi condotta da Cittadinanzattiva, con il sostegno di FIMMG e con il patrocinio del Ministero della Salute e di 86 tra Società Scientifiche e Associazioni di tutela dei pazienti, nell’ambito del progetto Torniamo a curarci – Non togliamo il medico di torno. La campagna, realizzata con il contributo non condizionato di Novartis, è un invito rivolto a medici e pazienti a tornare a farsi visita in un momento in cui tornare a curarsi è necessario e, seguendo le giuste precauzioni, assolutamente sicuro. Sottolineando anche il ruolo imprescindibile del professionista nella diagnosi e nella cura, e lo straordinario valore della relazione fra medico e paziente.
La medicina territoriale nell’era pandemica ha dovuto affrontare numerose sfide che si legano a doppio filo al ruolo che la Salute ha ricoperto negli ultimi 25 anni nel nostro Paese. Il primo servizio di prossimità per il cittadino, un ruolo di sentinella nel percorso di salute dei pazienti, una dimensione sociale che si intreccia con i molteplici aspetti della vita quotidiana ma, allo stesso tempo, valvola di sfogo in caso di inefficienze del sistema e figura percepita come periferica da Aziende e Servizi Sanitari Regionali.
L’analisi condotta ci restituisce una fotografia abbastanza chiara della medicina territoriale, organizzata attraverso la capillare presenza di MMG/PLS sui territori, interfaccia primario dei pazienti ma con una serie di limiti che, a causa della diffusione del Covid, sono riemersi in tutta la loro virulenza.

Primo fra tutti la mancata innovazione tecnologica, legata principalmente a servizi di telemedicina, ha impedito a molti MMG/PLS di dare risposte di salute concrete ai propri assistiti. Manca una gestione unitaria e centralizzata dei servizi, in grado di mantenere una presa in carico dei pazienti e di garantire uno scambio di informazioni con gli specialisti. Molte regioni non hanno provveduto a normare i servizi, nemmeno in questo anno pandemico e lì dove sono presenti la mancanza di coperture digitali e informatiche non è stato assicurato un percorso di continuità. Il 62% dei medici intervistati ha dichiarato di aver implementato, già dai primi mesi della crisi pandemica, modalità digitali e telematiche riconducibili ad un percorso di telemedicina. Solo il 35,1% di questo sottogruppo utilizzava strumenti simili già da prima. Un dato molto interessante è legato al tipo di strumenti utilizzati in telemedicina e vede solo il 36,9% aver utilizzato piattaforme e software gestionali e, tra questi, nell'86% dei casi su autonoma iniziativa o su iniziativa dell'Associazione di categoria di cui fanno parte. Ancora più interessante risulta la comparazione con quanto riferito dai Direttori di Presidio Ospedaliero e di Poliambulatorio che, nell’oltre 90% dei casi dichiarano la presenza di raccomandazioni e regolamenti emessi dalle regioni di appartenenza e che hanno fornito anche i software gestionali o le piattaforme nel 60% dei casi. A fronte di una elevata propensione del campione intervistato a fare uso di strumenti informatici e di innovazione tecnologica (più dell'89% si dichiara favorevole anche all'utilizzo della tele-cooperazione), infatti,  solo 56 intervistati dichiarano che le Asl di appartenenza hanno provveduto a fornire gli strumenti informatici necessari e solo il 32% è a conoscenza della presenza di regolamenti o raccomandazioni regionali per l'adozione di modalità assistenziali riconducibili alla telemedicina.

Anche il tele-monitoraggio, percepito come profondamente utile nella gestione delle cronicità, è stato utilizzato, in fase pandemica, dal 17,9% degli intervistati e, di questi, solo 98 MMG/PLS dichiarano di eseguire valutazioni e monitoraggio dei propri pazienti attraverso sensori digitali in grado di trasmettere dati diagnostici rilevati a domicilio, a fronte di un 54,5% di specialisti ambulatoriali e ospedalieri che ha notevolmente implementato tale attività soprattutto per branche quali la cardiologia, la neurologia e l’oncologia.

Nel 93,8% dei casi hanno rimodulato i servizi e i percorsi di accesso del pubblico all'interno degli studi medici, necessari al contingentamento della presenza fisica e all'esclusione dei pazienti sospetti positivi. Nello specifico attraverso: il triage telefonico (89,7%), uno screening preliminare di accesso (60,8%), la compilazione di un questionario all'arrivo (85,9%).

Il 61,7% degli intervistati dichiara di aver modificato, nella seconda fase della pandemia, gli orari di accesso al pubblico, ampliandoli nell'88,1% dei casi: la risposta è stata quindi largamente quella di dilatare i tempi di permanenza allo studio per rendere possibile una calendarizzazione degli appuntamenti, evitando assembramenti e cercando di fornire un servizio continuativo per non interrompere il percorso di cura dei propri pazienti. L'11.9% ha invece ridotto la permanenza allo studio, preferendo lo sviluppo di percorsi alternativi di presa in carico, favoriti dall'utilizzo delle nuove tecnologie e dei sistemi digitali, sviluppatisi notevolmente in questo ultimo anno.

Per quanto riguarda invece la organizzazione degli spazi per rispettare le regole di sicurezza legate alla diffusione del SARSCov-2 c’è da segnalare una enorme discrepanza tra quanto dichiarato dai medici e quello che emerge dalle risposte dei dirigenti. Un dato interessante riguarda la dichiarazione, da parte del campione di riferimento, dell'assenza totale (nel 53,6% dei casi) dell'emanazione di Linee Guida e regolamenti di supporto a garanzia della sicurezza da parte delle Aziende di riferimento.  L'adeguamento degli spazi, la messa in sicurezza, l'attenzione al paziente, sono stati frutto di iniziativa dei singoli MMG/PLS o di linee guida e raccomandazione emanate dalle Associazioni di riferimento.

Questo dato è chiaramente contrapposto a quanto dichiarato dai Direttori di Presidio Ospedaliero o di Poliambulatorio che hanno affrontato cambiamenti strutturali e di organizzazione degli spazi e dei tempi stabiliti dalle Aziende di riferimento (90,6%), al fine di garantire sicurezza e tranquillità ai cittadini.

È mancato un coordinamento delle azioni da intraprendere da parte dell'organo istituzionale di riferimento, fatto che ha determinato una diversificazione importante degli interventi in ambito di medicina territoriale e si è registrata la totale assenza di comunicazione di omogeneizzazione delle azioni tra livello ospedaliero e medicina di base.

Il 74% degli intervistati dichiara, infatti che tutti i materiali informativi su regole e comportamenti da mantenere a garanzia della sicurezza collettiva sono stati autoprodotti e che le Aziende sanitarie si sono rivelate per niente o poco capaci di reagire con tempestività nell'implementazione delle soluzioni organizzative dei servizi  e che in molti casi (66,42%) le soluzioni adottate sono state inefficaci e inefficienti a rispondere ai bisogni di salute dei cittadini e alle richieste del personale medico. L percezione di distanza e di abbandono è stata molto profonda in questo frangente.

La sensazione di solitudine emerge prepotentemente dall'analisi qualitativa delle risposte fornite. La percezione è quella di una Azienda distante dai medici, che non ha fornito indicazioni e che non è stata capace di organizzarsi per affrontare la seconda ondata della pandemia, ampiamente attesa da tutti.

La propensione all’innovazione è netta e le conquiste fatte in questi ultimi mesi sono percepite come strumenti utili e indispensabili anche nel prossimo futuro (ricetta dematerializzata, DPC, telemedicina) ma c’è, trasversalmente, una forte richiesta di regole, di norme in grado di tutelare sia i pazienti sia i medici nel percorso di cura.

“La frammentazione del Sistema Sanitario in 21 realtà diverse più che una opportunità di innovazione ha rappresentato un limite enorme nella intellegibilità dei dati, affidati a sistemi informatici molto diversi e incapaci di dialogare”, ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, vice segretario generale di Cittadinanzattiva. “Questo stato di cose ha prodotto, soprattutto nella seconda fase del contagio, un aumento della rinuncia alle cure da parte dei pazienti cronici e rari, a causa della impossibilità di accedere ai servizi specialistici, di riabilitazione, di attività in elezione e di informazioni chiare e univoche”.
È emerso quindi il ruolo sociale di MMG/PLS che hanno dovuto far fronte, visto il ruolo di prossimità che svolgono, ad una sempre più pressante richiesta di informazioni, di risposte concrete, di sostegno anche economico.
“È chiaro che la sfida per il futuro e la sostenibilità di tutto il SSN si gioca su una volontà politica di riorganizzazione e ristrutturazione dell’intero servizio e che va oltre l’esigenza di salute per legarsi strettamente alla visione di sviluppo sostenibile che l’Italia deve affrontare. Un ammodernamento che non può essere immaginato a silos ma deve avere una visione organica e trasversale, partendo dai territori, dalle aree interne e impattando fortemente sui sistemi generatori di disuguaglianze e disparità”, ha concluso Mandorino.

Ufficio Stampa

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