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Editoriali

L’ipotesi di una costituenda “Scuola Spa” è apparsa su alcuni quotidiani nei giorni scorsi ma non è stata seguita da dichiarazioni ufficiali da parte di nessuno dei tre Ministeri (Economia, Infrastrutture ed Istruzione) da cui sarebbe partita la proposta. Questa circostanza, già di per sé singolare, desta grande preoccupazione perché, alla luce di episodi precedenti (link all'elenco delle 12.000 scuole a rischio sicurezzalink all'elenco delle 2.400 scuole rischio amianto) si è visto come spesso trapelino notizie per le quali si aveva già pronto un piano di interventi e di finanziamenti non condiviso con i soggetti istituzionalmente preposti per competenze, regioni, province, comuni, men che meno con le famiglie e i ragazzi direttamente coinvolti.

Che cosa ci si propone con la scuola Spa? Di dar vita ad un soggetto misto, pubblico–privato, nazionale, che si occupi della gestione dell’edilizia scolastica ma anche della gestione di mense, corsi di formazione e aggiornamento. Per far questo i tre Ministeri starebbero lavorando ad un piano operativo e, forse, ad un testo legislativo che, entro la fine di ottobre, dovrebbe dare vita ad una Spa rilevando tutte le competenze, oggi proprie degli enti locali, riguardanti la proprietà, la costruzione, la manutenzione, la messa in sicurezza degli edifici scolastici.

 

I fondi inizialmente a disposizione della Spa sarebbero quelli dell’ultimo stralcio dei fondi CIPE destinati all’edilizia scolastica, di circa 400 milioni di euro.

 

Tra le righe si parla anche del grave stato in cui versa l’edilizia scolastica al punto che sembrerebbe che 10.000 edifici scolastici sarebbero da demolire.

 

 

Alcuni elementi dell’operazione destano in noi molta preoccupazione.

 

Innanzitutto non è ammissibile scoprire per caso, da un articolo di giornale, che 10.000 dei 42.000 edifici scolastici pubblici dovrebbero essere demoliti, quando da anni aspettiamo di sapere quale sia la reale situazione e dimensione del problema, attraverso i dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, di cui sembra che solo pochi abbiano il privilegio di conoscere i risultati.

 

In secondo luogo, non capiamo la necessità di ricorrere a strumenti “straordinari” e non avviare piuttosto, come avviene in tutti gli altri paesi europei, programmi decennali di edilizia scolastica, compartecipata, senza interruzioni e senza tentennamenti al di là del succedersi dei governi.

 

In terzo luogo, ci chiediamo come si possa conciliare l’avvento del federalismo nell’istruzione (ancora in gestazione) con atti che non solo centralizzano ma privatizzano beni pubblici preziosi e vitali come le scuole, togliendo di fatto a regioni ed enti locali i poteri di cui sono competenti per legge in materia di edilizia scolastica. E sicuramente gli stessi sarebbero ulteriormente penalizzati: con questa operazione dissennata, gli enti locali si troverebbero più poveri di quanto già non siano per aver perso un patrimonio inestimabile prima (gli edifici scolastici) e per dover pagare poi gli affitti degli immobili di cui attualmente sono proprietari. Sarebbe meno paradossale e più semplice lavorare sulla revisione dei limiti imposti dal Patto di stabilità, consentendo ai Comuni virtuosi di spendere quanto a loro disposizione e a quelli inadempienti di essere colpiti con sanzioni e azioni di surroga da parte del Governo centrale.

 

Che dire poi dell’oggetto dell’operazione: non si possono mettere sullo stesso piano edilizia scolastica e gestione delle mense, gestione del personale ATA e corsi di formazione e aggiornamento degli insegnanti. Ma non sarà che, in fondo, si considerano i bambini che mangiano, il personale docente che si aggiorna, il personale ATA che si professionalizza, al pari delle suppellettili e delle strutture scolastiche da aggiustare e rimodernare?

 

 

Per tutto questo la Spa non ci sembra la soluzione al problema. Ci sembra piuttosto la strada più breve e rapida per distruggere il bene pubblico “scuola” ed accelerarne la sua totale privatizzazione, accampando motivazioni legate all’urgenza e alla gravità della situazione.

 

Adriana Bizzarri 
Coordinatrice nazionale della Scuola di cittadinanza attiva

Redazione Online

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