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Editoriali

punto_9_01_08 Non è facile parlare di questioni etiche perché esse ci obbligano a misurarci con la nostra coscienza personale. Cittadinanzattiva ha spesso evitato di farlo per il rispetto che sempre ha avuto del suo pluralismo interno. Parlo quindi a titolo personale perché ritengo che non si possa stare zitti a fronte del dibattito riapertosi – come avviene ormai ciclicamente – sulla legge sull'interruzione volontaria della gravidanza.




L’impressione che ho ricavato dalla lettura dei giornali è che la questione sia più politica che etica o religiosa. Vorrei ribadire che chi scrive, pur condividendo il principio della laicità dello Stato, si astenne dal voto ai tempi del referendum per l’abrogazione della Legge, anche per un certo fastidio nei confronti della retorica abortista.

Oggi però  parlare dell’aborto per rimettere in discussione la legge mi appare falso, ipocrita. Sembra un modo per ribadire e rafforzare la posizione dei vertici della gerarchia cattolica e di chi se ne fa portavoce nel continuo braccio di ferro con il mondo politico. Il tema è spinoso e farlo continuamente riemergere ha come posta in gioco la “misurazione”  del potere di veto, di costruzione di consenso, di scambio di chi lo ripropone. Non credo che ci sia una reale volontà di cambiare la legge, ancora largamente inattuata nella sua parte più propositiva di tutela della maternità. L’importante è far sì che se ne parli il più possibile sui giornali.

Considero questo modo di fare politica – perché appunto di politica si parla – molto controproducente per il Paese, soprattutto perché avulso dalla realtà. Ha fatto bene Livia Turco a riportarci alle cifre, facendo capire a tutti noi che la legge non ha contribuito a produrre una escalation degli aborti, bensì una loro diminuzione. Senza partire dai numeri del prima ’78, anno della legge, purtroppo poco controllabili, si è passati da circa 240.000 aborti del primo anno a una progressiva riduzione a 130.000. In Italia inoltre si abortisce meno che in Francia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. E allora perché accanirsi?

Le domande che dovremmo farci sono altre, molto più concrete, molto più presenti. Quanto pesa per una donna e una famiglia fare un figlio? Perché il Servizio sanitario nazionale copre così poche spese per chi decide di aspettare un figlio? Perché ci sono liste d’attesa così lunghe nel pubblico per una amniocentesi, che nel privato costa circa 1000 euro? Perché è così difficile entrare in un asilo nido? E perché in certe città le rette sono così alte anche in quelli comunali? Perché avere un mutuo per una casa richiede un reddito così rilevante? Perché è così proibitivo a Roma come a Milano affittare un bilocale? Perché le giovani donne che fanno lavori atipici o superprecari sono così poco garantite? Perché chi ricorre in percentuale sempre maggiore all’aborto sono donne con cittadinanza straniera?

L’elenco degli interrogativi potrebbe proseguire. Fortunatamente, anche nel fronte di chi è contrario alla legge, ci sono associazioni che si impegnano seriamente nella tutela della maternità e soprattutto dei diritti delle giovani generazioni, italiane e non, così come sta facendo Cittadinanzattiva nel campo della salute, dei servizi di pubblica utilità, del credito, della scuola.

Questo è un dibattitto serio in questo momento, soprattutto è quello che preferisco.

Teresa Petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva

 

Redazione Online

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