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Editoriali

In questi giorni Cittadinanzattiva ha partecipato a numerosi dibattiti televisivi riguardanti la privatizzazione del servizio idrico integrato. Abbiamo parlato con giornalisti, politici e tecnici. Ognuno di quelli che difendono la nuova legge, si arrampicato sugli specchi a spiegare che mediante l'attribuzione del servizio tramite gara e la riduzione della partecipazione pubblica nelle società, si garantirà la soluzione di tutti i problemi del settore. A parte che, come ha detto Fabrizio Mucchetti sul Corriere, è un po' ridicolo dire che l'acqua resta "pubblica", quando chi la eroga è un privato e quindi il cittadino ne può usufruire solo tramite questo soggetto.

 

 

Ma il problema è che si tratta di un provvedimento che rischia di svendere un bene pubblico, senza risolvere il problema delle carenze del servizio.

Svendere perchè entro la fine del 2011 le società pubbliche dovranno disfarsi di almeno il 40% delle loro quote con un rischio reale - ricordiamo il caso Telecom - di una svendita e di una perdita di quote di investimento che pagheremo noi o in termini fiscali o di aumento delle bollette. In secondo luogo, la realtà ci dimostra come il privato non abbia fatto meglio del pubblico. Agrigento è la città dove si paga di più in Italia, il servizio è deficitario ed è gestito da privati, come in larga parte della Sicilia. Ad Arezzo e Firenze, che sono al secondo e al terzo posto come costi (vedi dati Osservatorio Prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva), il servizio è gestito da società private. Addirittura a Firenze Publiacqua ha aumentato le bollette, anche se i cittadini, aderendo ad una campagna del Comune sul risparmio idrico, avevano consumato meno. Invece del premio, hanno ricevuto una punizione! Milano, con un servizio totalmente pubblico gestito dalle Metropolitana, costa pochissimo. Secondo voi le Autostrade e gli Aereoporti di Roma funazionano meglio da quando sono stati provatizzati?
Ciò non significa che pubblico è bello e privato è brutto. Vuol dire solo che non è che disfacendosi di un bene pubblico (così se la vedono i cittadini con i gestori privati!), si risolve il problema.
Per affrontare seriamente le carenze del servizio idrico servono due cose: più buongoverno e meno clientele, e una autorità che detti le regole e dia spazio ai controlli, anche civici.

 

Più buongoverno significa che si potrebbe seguire l'esempio di alcune Regioni come la Liguria e il Veneto, che sono riuscite a spendere tutti i soldi per gli investimenti, a limitare le deroghe sulla potabilità delle acque e a dare un buon servizio ai cittadini. In questo caso non c'entra nulla il binomio pubblico/privato, ma il senso di responsabilità di chi governa. In troppe situazioni le società, pubbliche e private, che gestiscono il servizio sono state i luoghi privilegiati dello scambio politico e del collocamento in Presidenze e Consiglio di amministrazione di politici in declino. Il decreto questo problema non lo risolve. Servirebbe un personale politico più attento alla cosa pubblica e all'interesse dei cittadini. E' chiedere troppo?


In secondo luogo le regole tramite un Authority, o collegata a quella già esistente dell'Energia e del gas (per risparmiare) o nuova. Prima di qualsiasi passaggio al mercato, è infatti necessario stabilire gli standard per qualità e tariffe, i poteri di controllo, le regole di trasparenza, l'entità degli investimenti necessari e - perchè no - i poteri degli utenti consumatori, applicando in questo settore strategico quanto già previsto nel comma 461 dell'articolo 2 della Legge finanziaria di due anni fa. Partecipazione alla stesura dei contratti di serevizio, verifica del rispetto degli standard, forme di tutela e di conciliazione delle controversie. Tutto questo ancora non c'è. Allora perchè tutta questa fretta?

Teresa Petrangolini
Segretario generale di Cittadinanzattiva

 

Redazione Online

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