Menu

Editoriali

punto_18_02_10Le ondate migratorie che hanno coinvolto il nostro paese negli ultimi decenni non possono considerarsi eventi transitori ed eccezionali: rappresentano un fenomeno che ha determinato e continuerà a determinare una profonda trasformazione dell'assetto sociale.
Il corretto governo dell'immigrazione dovrebbe partire da una scelta chiara sul modello di integrazione dei nuovi arrivati e orientare su di essa le relative politiche. Ma le scelte politiche espresse dalle recenti legislature sono lontane da una visione organica del fenomeno migratorio e si ispirano in massima parte a una logica squisitamente difensiva e falsamente securitaria.
In particolare, la concezione "giuslavorista" che ha ispirato la cosiddetta legge "Bossi Fini" si è rivelata del tutto fallimentare, perché si fondava sull'illusione dell'incontro virtuale tra domanda ed offerta di lavoro, tra un datore di lavoro italiano ed un lavoratore extracomunitario a lui ignoto. Il congegno burocratico messo in piedi si è dimostrato farraginoso ed inefficiente al punto che, periodicamente, si è reso necessario rimediare attraverso il ricorso a sanatorie e regolarizzazioni. Lo stesso sistema dei decreti flussi, congegnato per favorire la regolarità, viene spesso impiegato come strumento per sanare i soggiorni irregolari.
La retorica della sicurezza rispetto al "problema immigrazione" ha poi condotto, con l'approvazione dei provvedimenti contenuti nel cosiddetto "pacchetto sicurezza", all'irrigidimento gratuito e simbolico, poiché di fatto inapplicabile, della normativa penale ed alla drastica compressione di diritti e garanzie fondamentali.
A nostro parere, il fenomeno dell'immigrazione va governato privilegiando anzitutto la prospettiva dell'integrazione dei nuovi arrivati. Abbandonando la filosofia della "resistenza contro gli invasori" che ispira la legislazione vigente, andrebbero sostenute le iniziative che promuovono un modello di integrazione multiculturale, basato sul riconoscimento e il rispetto di valori condivisi, a cominciare da quelli costituzionali.
La prima cosa da ripensare è il concetto stesso di cittadinanza, per superare anzitutto il rigido ancoramento dello status di cittadino al criterio dello ius sanguinis.
La normativa vigente in materia (legge n. 91/92), che privilegia il "diritto di sangue" rispetto allo ius soli e lega l'acquisto della cittadinanza, sia per nascita che per naturalizzazione, a rigidi e formali requisiti residenziali, appare oramai del tutto superata.
La cittadinanza nasce e si sviluppa, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, come un concetto funzionale a quello di uguaglianza, all'abbattimento delle discriminazioni formali e sostanziali: di fronte ad una società radicalmente trasformata rispetto a diciotto anni fa, dove su nove bambini che nascono uno è figlio di genitori stranieri, dove risiedono regolarmente oltre 4 milioni di "stranieri" per i quali questo paese rappresenta la casa e la vita, la rivisitazione della legge attuale appare doverosa ed urgente.
Tra i recenti tentativi di riforma, si è distinta la proposta di legge bipartisan d'iniziativa dei deputati Sarubbi e Granata, che pare coniugare l'idea della cittadinanza con quella dell'integrazione effettiva, ponendo peraltro particolare attenzione alla condizione dei minori.
Di tale iniziativa abbiamo condiviso anzitutto l'ispirazione, che privilegia l'ottica dell'integrazione quale requisito sostanziale per l'attribuzione dello status di cittadino, e abbiamo apprezzato l'interesse mostrato per i minori, con la previsione di percorsi agevolati di accesso alla cittadinanza attraverso la giusta valorizzazione del criterio dello ius soli e, per i non nati in Italia, del completamento di un percorso scolastico o di formazione professionale.
Sotto questo profilo, sulla scia delle buone premesse che animavano la discussione parlamentare, abbiamo sollecitato il legislatore ad un atto di ulteriore coerenza e coraggio, invitandolo a promuovere la piena integrazione dei minori di fatto stabilmente inseriti nel tessuto sociale italiano, attraverso precise esplicitazioni in tal senso.
In coerenza con le previsioni della Convenzione Europea sulla Nazionalità del 6 novembre 1997 (alle quali la citata proposta di legge dichiaratamente si ispira) abbiamo ritenuto che la discussione sulle modifiche in tema di cittadinanza dovesse costituire un'importante occasione per affrontare la questione in modo definitivo, attraverso una soluzione normativa che, quantomeno nell'ambito del procedimento di concessione della cittadinanza di cui all'art. 9 legge n.91/92, inequivocabilmente consentisse l'accesso alla cittadinanza italiana anche ai minori, nati o comunque presenti nel territorio nazionale e che vi dimorano stabilmente, una volta completato in Italia il ciclo scolastico.
Quanto auspicato stride con i contenuti del testo attualmente all'esame della Camera dei Deputati che, lontano dal cogliere e sviluppare i lungimiranti spunti presenti nella citata proposta di legge ed in altre precedenti versioni, rappresenta una gravissima retrocessione.
Il nostro auspicio è che simile occasione non vada svilita cedendo alla logica del compromesso e della strumentalizzazione politica, ma, al contrario, prevalga lo spirito migliore che ha animato il dibattito parlamentare e i che contenuti relativi al dimezzamento dei termini della naturalizzazione, alla semplificazione sostanziale del relativo iter, alla valorizzazione del principio dello ius soli e alle citate disposizioni relative ai minori vengano interamente recuperati.


A cura di Teresa Petrangolini e Laura liberto

Redazione Online

Iscriviti alla newsletter

Valore non valido

Valore non valido

Valore non valido

Valore non valido

Valore non valido

Valore non valido


Valore non valido

Valore non valido