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Editoriali

punto_05_03_09 Che senso ha la firma dell’accordo sul nucleare con la Francia da parte del Governo italiano? Non è forse una manifesta schizofrenia politica quella del nostro Governo che ha appena firmato accordi europei vincolanti per giungere ad una quota del 35 per cento di energia elettrica da fonti rinnovabili al 2020 e poi decide di avviare una politica energetica dal nucleare che sottrarrà risorse allo sviluppo delle rinnovabili, oggi ferme al 16 per cento?

Come la mettiamo col voto di oltre 20 milioni di italiani che nel 1987 si sono espressi chiaramente contro una scelta nucleare? Vogliamo essere un Paese che guarda al futuro per le scelte energetiche scegliendo le fonti rinnovabili, sposando l'imperativo del risparmio energetico, adottando il modello dell'autoproduzione (sistema leggero e decentrato) e della rete flessibile (contatori intelligenti che consentono di comprare e vendere elettricità, software capaci di orientare e dosare i flussi di energia in funzione delle necessità del momento, prezzi che fluttuano a secondo degli orari da autoregolamentarne i consumi)? Oppure vogliamo restare ancorati al passato dell'uranio espressione di un vecchio modo di produrre, verticistico e centralizzato? Dove è andato a finire il criterio di economicità che dovrebbe guidare le scelte politiche di un governo se una centrale nucleare costa due miliardi di dollari e, secondo uno studio dell'Oxford Research Group, per ottenere un rallentamento visibile del riscaldamento climatico usando l'energia atomica bisognerebbe costruire migliaia di impiani nucleari entro il 2070? Dove è andato a finire il criterio di precauzione di fronte ai rischi delle scorie radioattive se ad esempio si considera che il cimitero che gli Stati Uniti vogliono costruire nello Yucca Mountain, in Nevada, è costato 18 anni di ricerca e 9 miliardi di dollari e non offre le garanzie necessarie? Se poi si vuol credere che si userà un nucleare di ultima generazione (reattori autofertilizzanti, cioè al plutonio) questo significa solo fornire materiale pronto uso a un terrorismo sempre più minaccioso.

Dove è andato a finire il criterio di previsione se si considera che al ritmo di consumo attuale si registrerà un deficit di uranio attorno al 2025? E non può costituire una giustificazione la previsione che l'uso del nucleare favorirebbe la riduzione delle emissioni: anche raddoppiando l'attuale numero di reattori - cosa che accelererebbe l'esaurimento delle risorse accertate di uranio che, ai livelli attuali, non superano i cinquant'anni - il contributo del nucleare alla riduzione delle emissioni sarebbe marginale, non oltre il cinque per cento. Con gli stessi investimenti in maggiore efficienza energetica negli usi finali l'effetto di riduzione delle emissioni sarebbe fino a sette volte superiore. Se poi si pensa all'uso di una materia prima come l'acqua di cui gli impianti atomici hanno bisogno, è sempre più manifesta la follia della scelta nucleare: in Francia il 55 per cento dell'acqua dolce viene utilizzato per raffreddare le 59 centrali nucleari esistenti e durante la siccità del 2003, questo si è già rivelato un tallone d'Achille del sistema. Occorre con tutti i mezzi rilanciare  la mobilitazione contro il nucleare. Meglio attivi oggi che radioattivi domani.

 

Tonino D'Angelo
Segretario di Cittadinanzattiva Puglia

Redazione Online

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