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Editoriali

Teresa PetrangoliniNoi di Cittadinanzattiva siamo un movimento di senza partito: riteniamo che la politica sia uno strumento per migliorare le condizioni di vita dei cittadini e la democrazia un bene funzionale a conseguire la felicità, come recita la Costituzione americana. Ci occupiamo di tutelare i diritti e di aprire spazi di partecipazione per il cittadino comune. Lo facciamo dal 1978, anno di nascita della nostra organizzazione.

Questo è sempre stato il nostro modo di fare politica, con qualunque governo e con qualunque amministrazione. Abbiamo avuto alti e bassi, ma in un percorso di crescita costante di idee, di progetti, di numeri, di risultati, di consensi. Potremmo probabilmente continuare per la nostra strada, sulle politiche della salute, dei consumatori, della giustizia, della scuola, nell’impegno europeo e sulla responsabilità sociale delle imprese, non dico per altri trent’anni, non lo posso sapere,  ma sicuramente per molto tempo, perché in Italia e in Europa c’è bisogno di Cittadinanzattiva.

Tuttavia in questa fase della nostra storia sentiamo il bisogno di riflettere insieme sul fatto che tutto questo non è abbastanza e che è arrivato il momento di confrontarci in modo esplicito e chiaro con la situazione di questo Paese, nel quale viviamo, lavoriamo e che nonostante tutto amiamo.
Cittadinanzattiva che cosa può fare? Che ci sia un legame tra i temi di cui si occupa quotidianamente e lo stato della politica nel nostro Paese, è fuor di dubbio. Che sia necessario ridefinire che cosa significa essere indipendenti, ma non neutrali o indifferenti, è altrettanto ovvio. Chiarito questo, penso che le strade da percorrere siano tre: costruire una classe dirigente del Paese alternativa a quella esistente; far crescere e dare voce al popolo scomposto del Referendum sulla legge elettorale; trovare gli alleati giusti con cui fare tutto questo, perché pensare di farcela da soli è pura velleità.

Essere indipendenti: significa pensare e fare in modo autonomo come dice l’art. 118, u.c., della Costituzione, ma l’autonomia riguarda la cultura, il sistema di azioni, la coscienza del perché si agisce, i fini. Non è detto che significhi non prendere parte, in una situazione in cui la cultura politica di maggioranza e opposizione tende sempre più ad aumentare gli elementi di omogeneità, estraniandosi dagli interessi dei cittadini. Se si voterà per la costituente del Partito Democratico, potrebbe essere opportuno o no sostenere rappresentanti vicini agli interessi di Cittadinanzattiva, per avere almeno un 10, un 20% di persone che la pensano come noi? Se c’è l’opportunità per qualche dirigente del movimento di diventare Assessore regionale o deputato nazionale o, meglio, europeo, ci sarebbero problemi? Dovrebbe uscire dalla dirigenza del movimento?

La nostra attività quotidiana e la politica: sul legame c’è poco da dire, bisogna essere ciechi e sordi per non capire che i morti dell’ospedale di Castellaneta derivano da un intreccio consolidato tra affari, clientelismo e politica, legato al mondo degli appalti pubblici; o che una seria politica dei trasporti non può prescindere da una assunzione di responsabilità nel controllo della qualità da parte di una qualche autorità politica, che coinvolga anche i cittadini come valutatori del servizio.
Chi si deve occupare se non la cosiddetta "politica" degli infermieri o dei macchinisti che non vanno a lavorare, sia per richiamarli al loro dovere che per affrontare i loro problemi?
Si può pensare che sia possibile fare fronte alle centinaia di richieste di tutela da parte dei cittadini che vivono drammaticamente lo spezzettamento federale della sanità, senza una iniziativa forte di modifica del Titolo V della Costituzione che ristabilisca il diritto alla salute di tutti i cittadini e un principio di autorità nazionale su questi temi.
 
Costruire una nuova classe dirigente: questo non si fa scimmiottando i nostri politici ed elemosinando posti, come purtroppo hanno fatto alcuni dirigenti di organizzazioni del Terzo settore. Si è, o si diventa, classe dirigente soprattutto cambiando mentalità, acquisendo una maggiore consapevolezza del posto che si ha nella società. Poi si elaborano le strategie, si trovano i soldi e gli alleati. Il problema maggiore che ha ognuno di noi, dai giovani che lavorano nei diversi PiT al Segretario generale, è quello di convincersi che siamo già parte di una nuova classe dirigente del Paese, a prescindere dal posto che ricopriamo nella società.
E lo si è per il fatto stesso di tutelare i diritti dei cittadini, di convincere gli altri a dare un voto per il referendum, di contrattare con una amministrazione pubblica i permessi per i disabili, di fare qualcosa per l’interesse generale del Paese.
Dobbiamo smettere di pensare di essere impotenti rispetto a questo Paese che va a rotoli e che non possiamo fare nulla per cambiarlo. L’abbassamento del livello di aspettative  e di prospettive è un fenomeno che contagia e che ha contagiato molto anche il mondo dell’attivismo civico, privandolo di slancio e di spirito di iniziativa. C’è chi si è ripiegato sulle convenzioni con le amministrazioni, sui buoni rapporti con il governo, su qualche posto in qualche commissione, magari continuando a criticare ma sempre troppo sottovoce. Per noi e per tanti altri come noi non vale questo discorso perché abbiamo la fortuna di essere poco corteggiati e poco accontentati. È un vizio di fabbrica che alimenta la nostra autonomia e ci rende più forti.
Non si costruisce una nuova classe dirigente senza una scelta generazionale. Sono convinta che non c’è un altro modo per svecchiare se non quello di fare spazio, cedere il posto.
Io personalmente non so esattamente che cosa dovrebbe fare in futuro il Movimento per contribuire a colmare il vuoto della politica. Sono solo convinta però che potrà avere un ruolo, anche significativo. Sono questi, ed altri, gli interrogativi a cui dobbiamo dare una risposta in questa fase.

In sostanza dobbiamo capire che cosa significa per noi fare politica in questa situazione. Per farlo ci siamo proposti di iniziare a riflettere su tre scenari: quello economico, che sembra essere, nel bene e nel male, l’unico settore in movimento nel nostro Paese; quello della pubblica amministrazione, che continua ad essere il punto di aggancio più importante per un Movimento di partecipazione civica; quello che fa riferimento alla legalità e della trasparenza.

 

Teresa Petrangolini, Segretario generale di Cittadinanzattiva 

 

Redazione Online

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