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Oncologia: dal federalismo delle Regioni a quello delle Asl. Attese, sostegno psicologico e terapia del dolore punti deboli della prevenzione e cura oncologica
Presentato a Roma il Rapporto di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato

Solo 3 strutture su 33 adottano un sistema di incentivi o disincentivi per la registrazione in cartella clinica del dolore provato dai pazienti durante il ricovero e le terapie, a 2 anni di distanza dalla legge (la 38 del 2010) che invece la impone. E se 24 strutture hanno almeno predisposto un apposito spazio in cartella clinica, in 9 manca anche quello. Le attese sono molto diversificate anche all’interno delle singole Regioni, oltre che tra le diverse Regioni. Questi sono solo alcuni dei principali dati che emergono dal Rapporto, presentato oggi a Roma, “Oncologia: personalizzazione delle cure, rispetto del tempo, consenso informato. Focus sul cancro al colon retto”.
33 strutture di 13 diverse Regioni sono state “passate al setaccio” da Cittadinanzattiva, in collaborazione con FAIS (Federazione Associazioni Incontinenti e Stomizzati), al fine di valutare le politiche di personalizzazione delle cure e di umanizzazione delle stesse in un ambito molto delicato, quale è quello dell’oncologia. Il Rapporto è stato realizzato grazie al sostegno incondizionato di Merck Serono. Vediamo ora alcuni dei principali dati emersi.

Dal federalismo delle Regioni a quello delle ASL.
Ad una rilevazione dei tempi di attesa tramite CUP, la prima visita viene erogata entro 10 giorni nella maggior parte delle realtà che hanno aderito alla rilevazione (25 su 33); 4 realtà la erogano tra gli 11 e i 30 giorni; una sola realtà tra 31 e 60 giorni.
Si è inoltre voluto rilevare quali fossero i tempi di attesa minimi e massimi per alcune tipologie di interventi programmati. Lo scostamento più diffuso tra tempi minimi indicati dagli ospedali e le “priorità terapeutiche standard” stabilite invece dalle indicazioni nazionali(=15 gg) è di 5 giorni (20 anziché 15). Ci sono però realtà in cui il divario tra tempi minimi e priorità terapeutica standard è più ampio anche di 20 giorni (oltre il doppio dell’attesa).
I tempi massimi per l’approccio terapeutico palliativo, invece, definiti nel documento che abbiamo preso come riferimento , che prevedono il termine di 60 giorni, sono generalmente rispettati. Fanno eccezione 3 realtà, con tempi massimi di attesa di 70, 75 e 120 giorni.
Uno dei punti che destano maggiore preoccupazione è la difficoltà per i cittadini di  accesso ai tempi di attesa per interventi chirurgici e procedure invasive in regime di ricovero ordinario/day hospital, poiché in rarissimi casi l’informazione è trasparente e immediatamente disponibile.
Una lettura dei dati relativi ai Percorsi Diagnostico Terapeutici (PDT) fa emergere drammaticamente  la variabilità di tempi per le stesse prestazioni tra le diverse realtà ospedaliere. La sensazione che lascia è di smarrimento e della nascita di un vero e proprio federalismo delle attese nello stesso territorio regionale.
Facciamo due esempi: uno relativo al cancro del colon retto e l’altro relativo al cancro della mammella.
Nel PDT del cancro del colon retto l’erogazione della prima visita è prevista entro 3 giorni in 4 realtà, ma si può arrivare ad attendere, nel pieno rispetto del PDT stabilito ad esempio da singole realtà ospedaliere, anche 60 giorni; e ancora per l’intervento l’attesa può oscillare da 3 a 30 giorni; per la radioterapia da 10 a 30 giorni e così via. Quale sarà il PDT migliore? Come può sceglierlo il cittadino?
 
L’innovazione in alcuni casi è un alleato e al servizio della personalizzazione e della sostenibilità. In oncologia si vanno affermando test predittivi, come l’EGFR o il KRAS che possono consentire di evitare il modello prescrittivo “trial-and-error”, vale a dire “proviamo e vediamo come va”, con un dispendio di risorse per il SSN e un costo in termini di tossicità da farmaci per i cittadini. Anche in questo quadro i tempi per l’esecuzione del test predittivo KRAS sono molto variabili con strutture che danno risultati entro la settimana, ed altre che lo rendono disponibile tra 16 e 20 giorni (quasi il triplo del tempo!).
Nel caso del cancro della mammella, assistiamo a una situazione analoga: prima visita in 3 giorni o 60 giorni; intervento in 3 o 30 giorni (lo zero in questo caso è un numero che conta!), la radioterapia può essere erogata in 3 o 90 giorni.
Particolarmente preoccupanti sono i dati relativi all’accesso alle cure, in particolare per le persone che risiedono nelle Regioni del Sud, e relative, oltre ai tempi di attesa, alle distanze tra servizio e abitazione (66,7% in generale, 73,9% al sud); alle difficoltà di spostamento individuali (43,6% nazionale, 52,2% sud), alla mancanza di persone che possono accompagnare a visita (41% nazionale, 47,8% sud).
Ruolo attivo del paziente
Una recente ricerca ha mostrato non solo il costo sociale della patologia oncologica, ma ha anche quantificato i “LEA sommersi” vale a dire quei servizi che i care giver offrono per andare a compensare mancanze del sistema, o le attività che svolge il paziente stesso: oltre 36000 euro in 5 anni per costi diretti e indiretti; 12000 euro il “costo” per l’assistenza all’amico/familiare del care giver. Riconoscere il ruolo attivo del paziente significa metterlo nelle condizioni di poter scegliere consapevolmente il percorso di cura e, al tempo stesso, garantire gli strumenti utili per potersi auto-gestire, almeno negli atti più semplici, nel riconoscimento delle complicanze, nell’orientamento verso i servizi, etc.
Solo in 12 strutture su 33 esistono protocolli e procedure per formare il paziente al self management; anche se durante il ricovero, gli infermieri ad esempio sono molto impegnati nell’informazione ai pazienti su interventi diagnostici (26 strutture) e terapeutici (28 strutture), al dolore che potrebbe provare (26 strutture), ai possibili effetti avversi (24).
Liste di attesa e umanizzazione: le urgenze su cui intervenire
Alla luce dei dati illustrati, Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato indica alcune priorità di intervento.
  • Umanizzare davvero l’oncologia. Per farlo, occorre applicare nei reparti l’ art. 7 della legge 38/10, vale a dire la registrazione in cartella clinica del dolore (provato e espresso dalla persona assistita), con le sue caratteristiche e l’evoluzione nel corso del ricovero. Garantire il sostegno psicologico, anche ai familiari, in ogni fase dell’assistenza: dalla comunicazione della diagnosi alle cure ospedaliere e domiciliari, fino alle cure palliative e all’elaborazione del lutto. Rafforzare politiche aziendali finalizzate all’umanizzazione delle cure, all’attenzione e all’ascolto della persona da tutti i punti di vista, comprendendo il consenso informato, anche attraverso momenti di formazione e di confronto.
  • Garantire la trasparenza , l’adeguatezza e l’omogeneizzazione (tra Regioni e all’interno dello stesso territorio regionale) dei tempi di attesa per ogni prestazione (dalla visita, al ricovero, all’intervento, all’esecuzione di esami e di test genetici), rispettando gli standard temporali previsti dal Ministero della Salute e rendendo pubblici per i cittadini i tempi che ogni realtà aziendale è in grado di assicurare, anche per gli interventi e l'esecuzione di prestazioni di anatomia patologica e test genetici.

Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2009 – 2010, Ministero della Salute, Le risposte attuali del SSN, Tempi di attesa nelle patologie oncologiche.
Redazione Online

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